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Foto di Andrea Stella

Ex calciatore di Lecce, Atalanta e Lazio, tra le altre, e con all’attivo diversi anni di panchina, soprattutto tra le file dei settori giovanili dei biancocelesti, dei giallorossi (attualmente sua ultima esperienza) e della Ternana, Sebastiano Siviglia si è concesso in esclusiva a noi di Mondoprimavera.it per parlare della sua ultima esperienza da allenatore e sul suo futuro. All’ex difensore calabrese vanno i nostri più sentiti ringraziamenti e i migliori auguri per una florida carriera da allenatore.

Buongiorno Mister, ormai siamo agli sgoccioli di questa estate tormentata dal fantasma del Coronavirus. Passato bene questo periodo di vacanze?

“Buongiorno a te. Si, diciamo che la mia vacanza è stata un po’ più prolungata perché è da marzo che non sono più in attività, da quando è successo il lockdown abbiamo fatto un altro mestiere e non è stato quello che abbiamo fatto prima. Poi si sono conclusi i campionati e da quel momento in poi siamo andati in vacanza definitiva. Ho passato bene questo periodo, è stata un’estate tranquilla, come tutte le altre che abbiamo avuto in passato. Il virus ha condizionato un po’ tutti e tutto, nel corso di questi mesi ha regnato l’incertezza di poter fare certe cose e ci sono stati dei problemi sia a livello lavorativo, sia sulla sicurezza, sia a livello calcistico, ma è bene che queste difficoltà vengano affrontate per poter andare avanti e venirne fuori, bisogna sempre pensare prima alla salute”.

Negli scorsi giorni si è parlato molto del suo “addio”, anzi “arrivederci” al Lecce, lasciando vacante la panchina della formazione Primavera: questa che lei ha preso è stata una scelta frutto di un’attenta meditazione o dovuta ad una serie di eventi avvenuti nel corso dei giorni scorsi?

“Diciamo che dentro di me c’era il desiderio di cominciare un percorso diverso con i grandi, con il calcio degli adulti. C’era da parte mia la volontà di iniziare un percorso nuovo, penso di aver fatto comunque il mio “periodo di addestramento”, sono stato a Terni, alla Lazio, a Nocera e allo stesso Lecce. Avevo voglia di cominciare un percorso nuovo e stimolante con gli adulti, in poche parole di mettermi in gioco in prima persona”.

Due qualificazioni ai playoff di categoria, una semifinale raggiunta, tanto gioco e gol, tutto questo nonostante il Lecce venisse da un periodo di sei anni in Serie C in cui il settore giovanile venne molto trascurato. Lei è riuscito subito a dare un’impronta al suo gruppo, come giudica il suo operato tra le file della compagine U19 giallorossa?

“A giudicare non sono io ma sono gli operatori di mercato. Io non giudico ma penso di aver fatto un lavoro ad opera d’arte, di aver fatto, secondo il mio punto di vista, un ottimo lavoro, e se dico ottimo lavoro è un ottimo lavoro, portando dei risultati, perché, anche se la parola chiave delle giovanili è la crescita dei ragazzi, si vanno a vedere sempre le classifiche e le statistiche in termini numerici. Secondo me non si dovrebbero guardare solo le vittorie e le sconfitte, ma anche quanto una squadra riesce a produrre e a realizzare. Penso che la mia squadra abbia fatto numeri importanti, si vede che il gruppo ha prodotto tantissimo e ha cercato sempre di essere propositivo, non per niente il rendimento della squadra, tenendo conto di due anni fa e dello scorso anno, è sempre stato un rendimento importante. Poi è normale che a dicembre abbiamo assistito a qualcosa di diverso per quanto riguarda la mia formazione, che ha visto tanti giocatori aggregarsi in prima squadra per sopperire ai tanti infortunati. Quando molti giocatori vengono “promossi”, sicuramente qualcosa viene a mancare giù, ma quello è il nostro lavoro, formare giovani pronti a mettersi in gioco in prima squadra, non per altro la Primavera è un serbatoio dove quest’anno Liverani ha attinto spesso. Da dicembre fino al lockdown abbiamo accusato molto l’assenza di tutti i migliori giocatori che sono saliti di categoria, ma questo limita molto anche gli allenamenti, perché finché è solo un ragazzo ad allenarsi con i grandi non ci sono problemi, quando poi sono 10 a salire si accusa il colpo: avendo a volte 10, a volte 11, a volte 9 giocatori, si capisce bene che posso solo lavorare o di tecniche/tattiche individuali o dal punto di vista fisico, quando poi devo mettere la squadra in campo trovo difficoltà, e posso fare solo minipossessi o partitelle 5vs5. Ma, ripeto, il nostro obiettivo è quello di far crescere i giovani ed è sempre un onore vedere tanti ragazzi andare su, anche se per sopperire a diversi infortuni. Ci sono comunque stati due esordi (Maselli e Monterisi) e tanti giocatori che sono stati fissi tra le file della prima squadra: mi viene da pensare a Colella, Radicchio, Maselli, Monterisi, Rimoli, Sava, considerati elementi di prospettiva e che, proprio per questo, hanno indebolito la mia squadra. Penso che la mia, tra le varie categorie giovanili, sia stata quella a produrre di più, non guardo i punti ma altro: ad esempio abbiamo fatto circa 60 gol in circa 40 partite, con una media di 2-3 gol a partita, mi ricordo risultati clamorosi ed esaltanti come il 4-3 ad Ascoli, il 4-3 al Crotone, un 5-0, che comunque sono risultati motivanti, anche perché il nostro obiettivo non è mai stato quello di fare risultato ma quello di far crescere i giovani”.

Per quanto riguarda il futuro, quali sono i suoi obiettivi?

“Il mio principale obiettivo è quello di iniziare a lavorare con gli adulti, aspetto un progetto serio e che mi permetta di mettere in atto le mie idee. Ho voglia di mettere in pratica quella che è la mia filosofia calcistica e di alzare sempre di più l’asticella”.

Facendo un salto nel passato, invece, cosa è cambiato tra la Primavera attuale e la Primavera dei suoi tempi?

“Sicuramente è cambiato il calcio, sono cambiate le generazioni. Per certi punti di vista oggi può essere più semplice emergere, ci sono tante possibilità di raggiungere diversi traguardi fin da giovanissimi, si pensi a Monterisi, la bravura però sta nel tenere la testa. Rispetto al passato si aspetta di meno, si vuole ottenere tutto e subito e si cerca di bruciare subito le tappe, anche se bisogna saper rispettare gli step di crescita dei vari ragazzi. Difficilmente in passato si passava dalla Primavera alla prima squadra, oggi invece è un obiettivo della società per poter valorizzare i propri talenti e fare plusvalenze. Naturalmente bisogna investire molto sulle strutture, bisogna avere un’organizzazione solida e fondata, perché poi i ragazzi, anche se giovanissimi, riescono ad intuire se c’è un’organizzazione forte alle spalle o se c’è qualcosa di approssimativo. Nei primi anni 90 dalla Primavera alla prima squadra era un salto importante ed era meno facile, oggi è più semplice e c’è un po’ più di fretta. È normale che poi bisogna essere bravi nel saper mantenere la categoria, altrimenti poi ci si brucia subito, pochissimi sono pronti, mi viene da pensare al solo Kuluseviski: quanti in serie A sono stati capaci di uscire dalla Primavera e fare un campionato di massima serie di livello? Pochissimi. Bisogna saper attendere il proprio tempo e proseguire la propria maturazione che passa inevitabilmente attraverso a delle vittorie e a delle sconfitte. Ho sempre detto ai miei ragazzi che è molto importante saper aspettare, lavorare con dedizione e determinazione ma saper aspettare, non avere fretta di emergere ma avere la giusta attesa, alla fine è nell’interesse di tutti che il ragazzo venga fuori, sia del giovane, sia dell’allenatore, sia della società”.

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